L’accesso ai Sacramenti: da Familiaris consortio ad Amoris laetitia

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È in libreria da pochi giorni il nuovo libro di mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano e segretario del Consiglio di cardinali (C9), dedicato all’Amoris laetitia, esortazione apostolica di Papa Francesco sull’amore nella famiglia. Titolo del volume: “L’occhio e la lampada. Il discernimento in Amoris laetitia” (Edizioni Dehoniane, pagine 160). Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo il primo paragrafo del capitolo 12 in cui viene trattato il tema dell’accesso ai Sacramenti dalla Familiaris consortio all’Amoris laetitia.

L’attenzione e la sollecitudine nei riguardi di quei battezzati che si trovano in situazione matrimoniale irregolare è espressa con chiarezza e direttamente da Giovanni Paolo II in Familiaris consortio: “La Chiesa […], istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che – già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale – hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza” (n. 84). Il medesimo principio guida è assunto da Francesco in Amoris laetitia. Si comincerà, dunque, con l’illustrare in che maniera, per quali ragioni e a quali condizioni Familiaris consortio prevede e permette l’accesso ai Sacramenti.

Al suo n. 84 questa Esortazione apostolica comincia col ribadire “la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati”. Spiega pure che “sono essi a non poter esservi ammessi”, ravvisandone la ragione nel fatto “che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”. A questa ragione teologica – che si richiama ad una oggettiva contraddizione fra lo stato e la condizione di vita di chi è divorziato civilmente rispostato con l’unione indissolubile di Cristo con la Chiesa – l’Esortazione ne unisce un’altra che chiama di ordine pastorale: “Se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio”.

Ciò premesso, stante il pentimento “di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo”, Familiaris consortio apre alla possibilità di una deroga anzitutto all’obbligo della separazione (se “per seri motivi quali, ad esempio, l’educazione dei figli” non possono soddisfarla) e quindi pure alla totale esclusione dai Sacramenti. La condizione è la disponibilità ad accedere ad uno stato di vita in comune non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio: in concreto, se “assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”. Pentimento, serietà dei motivi che impediscono di interrompere la convivenza e disponibilità a vivere in continenza: sono questi i tre elementi che in Familiaris consortio compongono sia la deroga all’obbligo della separazione, sia alla possibile ricezione dei Sacramenti (1).

Familiaris consortio non ritiene di potere andare oltre. Riconsiderando tutto, la ragione teologica che determina ciò è l’oggettiva contraddizione “a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”. La via indicata è una via oggettivamente “in salita”, soprattutto se considerata in rapporto a persone che di per sé si sono sentite e si sentono chiamate al matrimonio, ma, soprattutto col sostegno della grazia, non impossibile.

Disponendosi come Familiaris consortio a non “abbandonare a se stessi coloro che – già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale – hanno cercato di passare a nuove nozze”, Amoris laetitia osserva anch’essa la medesima situazione;

non lo fa, però, ponendosi dalla parte della oggettività, bensì da quella soggettiva delle persone coinvolte e lo fa sulla base del principio da sempre affermato: perché “un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: ‘È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso’” (Catechismo della Chiesa cattolica n. 1857).

Da ciò derivano importanti conseguenze, come il principio enunciato dallo stesso Catechismo della Chiesa cattolica n. 1735 per cui “l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali”.

Prendendo atto di ciò Amoris laetitia afferma, come già detto: “È possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa” (n. 305).

Questo aiuto può comprendere anche quell’aiuto dei Sacramenti, di cui si legge alla nota 351: un aiuto da offrire a quelle eventuali persone battezzate che, pur essendo oggettivamente in una situazione di peccato, nel contesto di un appropriato processo di discernimento risultano portarne la responsabilità e il peso solo in parte, o anche per nulla.

L’aiuto della Chiesa di cui qui si parla, in certi casi può anche essere l’aiuto dei Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia (cfr nota 351). Si noterà l’effetto restrittivo dell’espressione in certi casi! Con tutto ciò, l’affermazione non la si può eludere, né aggirare piantandovi attorno una tale siepe che la renda di fatto inattuabile! Essa, al contrario, non deve stupire, perché in linea di principio trae le dovute conseguenze dal fatto che “il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave” (nota 336).

Aggiungerò che nel suo argomentare l’Esortazione cita frequentemente san Tommaso d’Aquino (almeno quindici volte è citata la Somma Teologica). Per convalidare quanto sino a qui detto, aggiungerei quest’altro suo testo: “Come il male è più esteso del peccato, così il peccato è più esteso della colpa… (perciò) il bene e il male comportano la nozione di lode o di colpa solo nelle azioni volontarie, dove il male, il peccato e la colpa sono la stessa cosa (in quibus idem est malum, peccatum, et culpa)” (S. Th. I-II, q. 21, art. 2). Sulla base di simili premesse difficilmente confutabili, con piena ragione nell’Esortazione Francesco può affermare: “Non è più possibile dire che tutti coloro, che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante” (n. 301).

Per essere su questo punto ancora più espliciti, dirò che Amoris laetitia non ammette affatto ai Sacramenti e, in particolare, all’Eucaristia “i divorziati risposati”. Il Papa non parla di “categorie”, ma di persone!

Per quelle, poi, cui ci si riferisce per il discernimento di cui trattiamo sono ovviamente necessarie le “premesse” di conversione che il n. 298 dell’Esortazione giunge quasi a elencare. Si parla, ad esempio, di “una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe”. Poco più avanti prosegue: “C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di ‘coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido’”.

La dottrina esposta nell’Esortazione, insomma, è il frutto di un nuova e felice centratura della morale della legge sulla persona.

A questo, infatti, è volto il cammino di discernimento: “A comprendere – come afferma il teologo Mauro Cozzoli – le storie delle persone, le situazioni, le circostanze e le difficoltà in cui si trovano, le intenzioni e le disponibilità che dimostrano”.

Tale discernimento è ispirato al duplice criterio: del “bene possibile” e della “gradualità”. Il primo non è un bene impuro, o indegno (B.Petrà), ma guarda al bene effettivamente realizzabile da ciascuno; il secondo è il criterio che, nell’impossibilità di attuare tutto il bene comandato dalla norma, apre strade di avvicinamento progressivo.

In tale quadro s’inserisce la raccomandazione del Papa: “Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio” (n. 305).

Vuol dire che i necessari stadi intermedi, per quanto ancora segnati dal deficit e dal disordine, devono essere considerati come tappe di avvicinamento alla pienezza del bene. Citando se stesso da Evangelii gaudium Francesco ci domanda di tener conto “che un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà” (n. 305). Conclude Mauro Cozzoli: “Dove non arriva l’etica della legge, che giudica e condanna in nome del tutto o niente: criterio del ‘valevole indistintamente per tutti’; arriva l’etica della misericordia, che al tutto perviene attraverso il possibile: criterio del ‘valevole distintamente per ciascuno’. L’etica della misericordia dà valore e credito alla coscienza, alla sua rettitudine e responsabilità davanti a Dio. E confida nell’opera della grazia: grazia purificante dalle scorie del male e abilitante all’intelligenza e all’amore del bene. L’etica della misericordia non cambia la morale. Chiama piuttosto a una conversione etico-pastorale di vicinanza alle persone, scandita dal trittico discernere, accompagnare, integrare”.

Un’ultima cosa è necessario ribadire: tutto il processo di discernimento di cui si è parlato e che, eventualmente (e non necessariamente), conduce all’accesso ai Sacramenti si svolge nel foro interno sacramentale. Tale soluzione non è per nulla identica alla semplice “decisione di coscienza”, che riguarda esclusivamente il singolo davanti a Dio. Se così fosse, ci sarebbero i rischi sia di una privatizzazione indebita dell’accesso all’Eucaristia, sia di un dualismo fra oggettività dottrinale e soggettività morale. Importante, perciò la precisazione che quanto avviene nel “foro interno sacramentale” è un vero processo (“foro”), che si svolge nell’ambito sacramentale (sacramento della Penitenza) che vede coinvolti un fedele e un ministro autorizzato della Chiesa.

Stante, dunque, l’importanza della scelta secondo coscienza, come annotano i vescovi tedeschi nel documento (“La gioia dell’amore che viene vissuta nelle famiglie è anche la gioia della Chiesa. Introduzione ad una rinnovata pastorale delle nozze e della famiglia alla luce dell’Amoris Laetitia”), approvato nel gennaio 2017, “l’Amoris laetitia parte dal presupposto di un processo decisionale che sia accompagnato da una guida pastorale. Sul presupposto di un tale processo decisionale, in cui la coscienza di tutti coloro che vi prendono parte è messa in gioco sino in fondo, l’Amoris laetitia apre la possibilità di ricevere i sacramenti della riconciliazione e dell’Eucaristia”.

(*) vescovo di Albano, segretario del C9


(1) Né Familiaris consortio, né il CCC 1650 menzionano l’obbligo di accedere all’Eucaristia evitando lo scandalo; ciò si trova in documenti successivi: CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati (1994), n. 4; PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Dichiarazione circa l’ammissibilità alla santa comunione dei divorziati risposati (2000), n. 2. Implicitamente, BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica Sacramentum caritatis: “Là dove non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale” (n. 29).