Carissimi fratelli e sorelle,
la Pasqua di quest’anno porta con sé tante speranze insieme a incertezze e sofferenze, legate ancora alla pandemia e alle sue conseguenze in campo psicologico, sociale e religioso, che da circa due anni ormai stiamo sperimentando. A queste si aggiungono i drammi della guerra in Ucraina e in altri paesi e le molteplici povertà vecchie e nuove. Tuttavia, siamo chiamati ad essere portatori di speranza, operatori di pace e, stando vicini alle sofferenze delle vittime di tutte le guerre, ad aprirci alla solidarietà e all’accoglienza dei profughi ucraini e di tutte le persone costrette a lasciare la loro patria a causa di guerre, persecuzioni e calamità naturali.
La Settimana Santa è iniziata con la tradizionale festosa processione della Domenica delle Palme che commemora l’ingresso di Gesù in Gerusalemme su un puledro come un re pacifico! Gesù non viene come un re potente su un cavallo di battaglia, ma come un umile servo, come un re giusto che fa sparire i carri da guerra e annuncia la pace alle nazioni.
Tutti i cristiani siamo chiamati a elevare forte il grido di pace e giustizia in Ucraina e nel mondo intero per le vittime innocenti delle guerre. Con Gesù diciamo basta all’uso delle armi perché «quelli che prendono la spada di spada moriranno» (Mt.25,52).
La Pasqua per noi cristiani è la festa del perdono, della riconciliazione, della pace sulla terra e del superamento dei conflitti e delle violenze. Questa festa, cuore della nostra fede, celebra due aspetti della vicenda di Gesù che, come le due facce di una moneta, sono tra loro inscindibili: la passione e la risurrezione.
Il processo a Gesù e la sua passione continuano ancora oggi. Quando, abbandonandoci al peccato, scegliamo la violenza, non facciamo altro che gridare: «Non costui, ma Barabba! Crocifiggilo»! Sta a noi scegliere in che veste vogliamo entrare nella storia della passione di Cristo: se nella veste del Cireneo che si affianca a Gesù, spalla a spalla, per portare con lui il peso della croce; se nella veste delle donne che piangono su Gerusalemme o di Maria che sta silenziosa accanto alla croce. Oppure vogliamo entrarvi nella veste di Giuda che lo tradisce o di Pietro che lo rinnega; o di Pilato, di Erode e dei Sommi sacerdoti che attraverso una assurda alleanza fra trono e altare uccidono il Figlio Di Dio.
Durante la grande Settimana, con le solenni celebrazioni liturgiche e con le tradizionali processioni e pratiche della pietà popolare, non commemoriamo un morto, ma professiamo la nostra fede in Gesù Cristo morto, ma risorto per sempre.
La certezza che il suo amore è più forte della morte è fondamento della nostra speranza. Papa Francesco, nell’udienza del 27 settembre 2017, richiamandosi alla mitologia greca diceva: «Se gli uomini non avessero coltivato la speranza, se non si fossero sorretti a questa virtù̀, non sarebbero mai usciti dalle caverne, e non avrebbero lasciato traccia nella storia del mondo. È quanto di più̀ divino possa esistere nel cuore dell’uomo». Nel VI sec a.C. Eraclito sosteneva che «senza la speranza è impossibile trovare l’insperato» (frammento 18). E, introducendo nel pensiero antico la prospettiva di una vita ultraterrena, giungeva alla sorprendente conclusione: «Dopo la morte attendono gli uomini cose che essi non sperano e neppure immaginano» (frammento 27),. Nonostante il momento drammatico che stiamo attraversando noi cristiani siamo chiamati a “«sperare contro ogni speranza» (Rm 4,18) come scrive san Paolo ai Romani. Questa speranza non è solo per i vivi ma anche per coloro che sono morti. Lo stesso Paolo ha scritto: «Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1Cor 15, 13-14). Commentando questo testo, il teologo evangelico Dietrich Bonhoeffer scrive: «… se Cristo non è risorto, il punto d’appoggio che regge tutta la nostra vita vacilla e tutto si infrange; la nostra vita declina verso il non senso. Ogni discorso che ha per oggetto Dio è illusorio, ogni speranza evanescente».
Si dice abitualmente che «se c’è vita, c’è speranza». In realtà è il contrario: È la speranza che tiene in piedi la vita, che la protegge, la custodisce e la fa crescere.
Gesù Cristo crocifisso e risorto, che nei mosaici della nostra Cattedrale si manifesta come il Pantocratore, che mantiene nell’esistenza tutte le cose e come Luce del mondo illumina i momenti bui della vita con il suo splendore divino, è fonte di speranza per noi e per tutta l’umanità.
Auguro che la luce di Gesù Risorto illumini la vita di ciascuno, ci rinnovi nello Spirito e porti la speranza di un futuro di libertà, giustizia e pace al mondo intero.
Monreale, 10 aprile 2022
Domenica delle Palme
+ Michele Pennisi
Arcivescovo di Monreale