Mons. Pennisi: La politica Buona di Don Luigi Sturzo

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La cosiddetta  “questione morale” si pone  oggi  dappertutto con tutte le sua ambivalenze anche nell’opinione pubblica. La questione morale ripropone il problema del rapporto fra etica e politica, che  è complesso, arduo, difficile perché mette in relazione due realtà dinamiche e problematiche. La morale non è un ordine astratto dato una volta per tutte, ma una continua ricerca, una “sete di giustizia”. Anche la politica è una realtà che deve misurarsi colla complessità della varia realtà storica. La rinascita della politica deve passare attraverso una rifondazione etica della politica che ridisegni il quadro dei valori e degli ideali, se non vuole ridursi a mero affarismo. La questione morale, che si pone in modo urgente per gli uomini politici e per le istituzioni passa necessariamente attraverso un rinnovamento della coscienza civile dei cittadini, che devono prendere coscienza delle responsabilità politiche. La  questione morale  presuppone per i cristiani il rapporto  fra morale  e vita teologale vissuta nella fede, speranza e carità. La questione morale riguarda tutti i paesi.

 Don Luigi Sturzo ,che ha avuto una concezione profondamente morale della vita politica ,  nell’agosto del 1957 inviò  all’Assemblea delle nazioni per il Riarmo morale che si tenne negli USA dove erano rappresentate 49 nazioni un messaggio , nel quale fra l’altro si diceva:”il punto centrale per arrivare al vero Riamo Morale è la solidarietà umana  e l’amore reciproco… E’riarmo perché è la chiamata alla difesa e alla conquista:questa è fatta realmente sul piano morale.. Morale, dal latino mos, vuol dire costume nel senso di comune regola delle buone relazioni umane che si tramandano di generazione in generazione e formano il modo di vivere in società”.[1]  E concludeva:”Sia il Riarmo Morale Internazionale il trionfo dell’Amore, quell’Amore che Gesù annunziò come fuoco portato dal cielo, che deve accendere tutti i cori degli uomini”.[2]

         Luigi Sturzo fin dall’inizio del suo ministero sacerdotale ha puntato sulla  riforma morale della politica fondata nell’educazione delle nuove generazioni ai principi cristiani della giustizia e dell’amore. Del rapporto fra morale e politica Sturzo tratta in tutti i suoi scritti a partire dai primi articoli che il giovane sacerdote pubblicava sul giornaletto da lui fondato a Caltagirone “La croce di Costantino“. Una trattazione più specifica di questo tema la affronta in sue due opere teoretiche: Politica e Morale del 1938 e Coscienza e Politicadel 1953.[3]

 Sturzo afferma l’assolutezza dei valori morali ma insiste anche sulla impoliticità della immoralità politica.Per lui l’economia e la politica, senza morale, sono sempre antieconomiche ed impolitiche. Il fine della politica consiste nel bene comune che per essere a vantaggio di tutti non può prescindere dal bene morale. Per Sturzo non esiste il dilemma fra l’utile e il bene perché quando l’utile è veramente l’utile di tutti esso coincide con il bene di tutti cioè con il bene comune. Per don Sturzo la moralità presuppone la maturazione di una coscienza  che deve essere educata , illuminata , formata dalla riflessione razionale in un clima di libertà per discernere con convinzione e con sicurezza il bene dal male. Nella concezione cristiana vanno coniugati insieme autorità e libertà, giustizia e carità, anzi la carità diviene il cardine della vita morale e quindi anche della vita politica.

            Il sacerdote calatino sentì come una sua missione quella di introdurre la carità nella vita pubblica nella convinzione che la carità cristiana non può ridursi solo alla beneficenza o all’assistenza ma deve essere l’anima della riforma della moderna società democratica, nelle quale le persone sono chiamate a partecipare responsabilmente alla vita sociale per realizzare il bene comune. La carità cristiana, per Sturzo non può essere dissociata dalla ricerca della giustizia la quale è determinata dall’amore verso prossimo, che a sua volta è generato dall’amore verso Dio. Da queste premesse Sturzo concepirà la politica come dovere morale e atto d’amore. In un articolo pubblicato nel 1925 Sturzo, in polemica con coloro che sostenevano un” dualismo fra etica e politica, tra Vangelo e società umana” e limitavano la “legge dell’amore” alla vita privata, scrive:”

“(…)la politica è per sè un bene: il far politica è ,in genere, un atto di amore per la collettività; tante volte può essere anche un dovere per il cittadino.   Il fare una buona o cattiva politica, dal punto di vista soggettivo di colui che la fa, dipende dalla rettitudine dell’intenzione, dalla bontà dei fini da raggiungere e dai mezzi onesti che si impiegano all’uopo.   Il successo e il vantaggio reale possono anche mancare, ma la sostanza etica della bontà di una tale politica rimane. Così ragionano i cristiani di ogni tempo e di ogni paese. E con questo spirito ,l’amore del prossimo in politica deve stare di casa, e non deve essere escluso come un estraneo: nè mandato via facendolo saltare dalla finestra,come un intruso.   E l’amore del prossimo non consiste nè nelle parole,nè nelle moine:ma nelle opere e nella verità“.[4]

            Una impostazione corretta dell’impegno politico esige non la conflittualità ma l’armonia fra  politica e morale, che garantisce una società ordinata e una democrazia autentica. C’è una centralità della coscienza, nella riflessione e negli scritti di don Luigi Sturzo ,  che esprime il bisogno di ritenere come imprescindibile baricentro la persona umana. Il riferimento all’impegno politico, caratterizzato dalla responsabilità per l’affermazione dei principi ideali, nasce  in don Sturzo da una ispirazione morale e religiosa della politica, contro ogni istanza di pragmatismo e di potere. Secondo Sturzo,«un problema morale è sempre al fondo di ogni problema politico» che, come tale, «non può risolversi che dentro la logica della moralità».[5]. Priorità dell’ordine morale significa, per Sturzo, non perdere mai di vista la  forza di questa sua semplice affermazione:«introduciamo l’autorità della morale nel sistema della politica, i valori della coscienza della vita privata nella vita pubblica e il rispetto del prossimo nel dominio delle relazioni politiche ed economiche. Questa è vera democrazia».[6] .Don Luigi Sturzo fu uno dei pochi politici che denunciarono senza timori l’esistenza di una mafia criminale e non come innocuo costume isolano e nelle vesti di sociologo comprese le cause più profonde del fenomeno e le sue tendenze all’urbanizzazione.

Scrisse nel 1949 parlando della mafia: “È di moda, lo scrive la stampa comunista e lo ripete quella indipendente, dire che la mafia in Sicilia sia fenomeno di povertà e di condizioni economiche arretrate. A farlo apposta la mafia fiorisce nella Conca d’oro, tra Palermo-Villagrazia-Monreale e si estende in zone prospere quali quelle di Carini e di Partinico. Infatti, cosa andrebbero a fare i mafiosi se non potessero estendere il loro potere e i loro intrighi nella distribuzione delle acque irrigue, nella vendita dei giardini, negli affari di armenti e di greggi, nei mercati dì carne, nei traffici dei porti, negli appalti di grosse opere pubbliche e private, nelle anticamere delle prefetture e dei municipi? Forse, costoro, non hanno mai visto mafiosi siciliani a Roma, e andare e venire dai ministeri?”.

Il prete calatino alla fine degli anni ’50 osservava che il fenomeno mafioso “ si è trasferito dalle campagne alle città, dalle case dei latifondi a quelle degli uomini politici, dai mercatini locali agli enti pararegionali e parastatali”.  In occasione dell’operazione Milazzo dirà : “povera Sicilia mia, povera Italia: ora la mafia diventerà più crudele, e dalla Sicilia risalirà l’intera penisola per risalire forse oltre le Alpi”.  Don Luigi Sturzo condusse la sua battaglia per la moralizzazione della vita pubblica nelle vesti del sacerdote, del sociologo e del leader politico, per diffondere e praticare i valori cristiani in seno alla società.

 Sturzo sostiene che per combattere le varie mafie si tratta di comprenderne la presenza non innanzitutto e solo come problema di sottosviluppo economico, ma come un problema culturale, morale e religioso. La mafia potrà essere sconfitta attraverso un profondo cambiamento di mentalità, a un “riarmo morale” che porti a non idolatrare il denaro e la violenza e a ritrovare il nesso indispensabile che deve legare morale, economia e politica. Don Luigi Sturzo non si fermò a denuncie generiche e astratte, ma intervenne spesso e puntualmente in alcuni nodi cruciali della storia italiana con analisi spietate, che non mancano di attualità parlando di concussione,di tangenti, di conflitto d’interessi da parte dei “controllori-controllati” e identificando nello statalismo, nella partitocrazia e nell’abuso del denaro pubblico le tre “male bestie” della democrazia italiana.

Ecco cosa scrisse nel 1958 quel vecchio di ottantasette anni a proposito della moralizzazione della vita pubblica, senza farsi eccessive illusioni ma neanche senza un pessimismo disperato: “Una parola “moralizzare la vita pubblica”! Dove e quando essa è stata mantenuta sulla linea della moralità? Non ieri, non oggi, non da noi, non dai nostri vicini, non dai paesi lontani. Eppure è questa l’aspirazione popolare : giustizia, onestà, mani pulite, equità. Che cosa è mai la concezione dello Stato di diritto se non quella di uno Stato nella quale la legge prende il posto dell’arbitrio; l’osservanza della legge sopprime l’abuso, la malversazione e la sopraffazione non restano impunite?Bene facciamo come si fa nelle case; in primavera ed in autunno pulizia generale… E’ vero ci sporchiamo le mani, ma c’è l’acqua e il sapone a ripulirle più volte… Noi vogliamo che lo Stato come ente responsabile della pubblica amministrazione, pur facendo valere le proprie benemerenze, riveda le proprie colpe e si emendi… Lo Stato non immunizza il male né lo tramuta in bene; fa subire ai cittadini gli effetti cattivi delle azioni disoneste dei propri amministratori, governanti e funzionari, mentre produce benefici effetti con la saggia politica e la onesta amministrazione.”

Sturzo oltre che un maestro che ha cercato di  studiare il fenomeno mafioso e la corruzione  è stato anche un testimone che  ha puntato sulla moralizzazione della vita pubblica Nel 1957 in un articolo su Studi Cattolici egli cita la sua esperienza personale in campo amministrativo e politico”per provare con i fatti essere possibile vincere le battaglie sai contro la corruzione elettorale, sia contro la corruzione amministrativa e politica”  Scrive nello stesso articolo parlando dell’abuso della corruzione nell’ambito della gestione del pubblico denaro:” Molti dicono di difendere la patria, la moralità, lo Stato, e perfino la Chiesa e la fede. Non è così che si cerca il regno di Dio e la sua giustizia, non è così che si rende testimonianza al Cristo,ma con l’osservare i comandamenti e prima di tutto il comandamento della giustizia e dell’onestà che sono alla base dell’amore del prossimo”.

          Don Luigi Sturzo in appendice all’opera “Coscienza  e politica” afferma che la politica è un arte che riescono ad esercitare solo poco artisti , mentre altri si accontentano di esserne artigiani e molti si riducono ad essere mestieranti della politica.        Egli  da politico vero anche se scomodo  non manca di dare anche dei suggerimenti di natura pratica a chi vuole apprenderne l’arte ed evitarne il mestiere. Il perseguimento del bene pubblico non può essere separato dalle virtù individuali.[7]

Tra le virtù dei politici egli cita la franchezza, la sincerità, la fermezza nel sapere dire anche i no,  l’umiltà da cui scaturisce il senso del limite, il non attaccamento al denaro e alla fama, la competenza, la progettualità politica , la capacità di programmazione nel discernere i tempi politici, quelli parlamentari, quelli burocratici e quelli tecnici. La moralizzazione della vita pubblica è legata per Sturzo  soprattutto ad una concezione religiosa della vita da cui deriva il senso della responsabilità morale  e della solidarietà sociale. “Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa: la politica diventa mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa, la  scienza si applica ai forni di Dachau, la filosofia al materialismo ed al marxismo; l’arte decade nel meretricio”.[8]

Il nucleo essenziale del suo contributo mantiene, oggi più che mai, la sua validità e proponibilità verso una promozione sempre più integrale dell’uomo entro un quadro di riferimento etico, che Sturzo chiama «civiltà» e a cui piace associare l’attributo «cristiana». Don Luigi Sturzo oggi non ci offre delle ricette pronte all’uso, ma rimanda  ad un impegno creativo e responsabile dei cristiani per leggere i “segni dei tempi” alla luce del Vangelo, per realizzare una prassi politica animata dalla fede, illuminata dalla speranza, testimoniata con l’amore cristiano, in spirito di servizio e di dialogo con le donne e gli uomini del nostro tempo, per realizzare il bene comune  che è il bene di tutti e di ciascuno.

Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale

[1] L.STURZO, Messaggio per il riarmo morale, in ID., Politica si questi anni.Consensi e Critiche(dal gennaio 1957 all’agosto 1959),Gangemi Editori,,Roma 1998105-106.

[2] Ivi, 106.

[3]  Ambedue sono pubblicate nel vol.IV dell’Opera Omnia:L. STURZO, Politica e Morale(1938); Coscienza e Politica(1953), Bologna 1972.Cfr. a proposito, A.DI GIOVANNI, Per una coscienza morale della politica,, in AA.Vv., La presenza della Sicilia nella cultura degli ultimi cento anni, vol.II, Palumbo, Palermo 1977,952-985;A. PARISI, Solidarietà e bene comune nel pensiero di Luigi Sturzo .Dimensioni etiche di un progetto socio-politico, Ed .Dehoniane, Roma1999.

[4]  L.STURZO,Crociata d’amore, in “Il Cittadino di Brescia”, 30 agosto 1925,ora in La vera vita,cit.,247.

[5] L. Sturzo, Miscellanea londinese, vol. III, Bologna 1972, 72.

[6] L. Sturzo, Politica e morale, Bologna 1972, 72.

[7] cfr. ID., Morale e politica ,.233-23; ID. Il manuale del buon politico, a cura di G. DE ROSA,Edizioni san Paolo, Cinisello balsamo(MI) 1996.

[8] L. STURZO,  Messaggio al Circolo di Cultura “Luigi Sturzo”, in «Il Popolo» del 16 dicembre 1956, ora in Id., Coscienza e politica, cit., 27.