Carissimi fratelli e sorelle,
oggi in preparazione al santo Natale sono venuto a visitarvi ricordando la Parola di Gesù: “Ero carcerato e siete venuto a visitarmi”.
Ringrazio quanti hanno voluto partecipare a questo evento. Rivolgo un deferente saluto alla direttrice dell’Istituto Francesca Vazzana al Comandante del Reparto di Polizia, unitamente agli Agenti che con lui collaborano.
Ringrazio i Cappellani le autorità cittadine, gli operatori, i volontari che si impegnano per rendere il carcere più umano e più legato alla società civile che sta attorno.
Saluto soprattutto ciascuno di voi, detenuti, con affetto fraterno pensando alla storia di ciascuno di voi, ai vostri desideri, alle vostre amarezze pensando ai vostri familiari da cui siete lontani.
Questa visita, che vuole essere personale per ciascuno di voi, è anche un gesto pubblico che ricorda ai nostri concittadini e alle Istituzioni pubbliche il fatto che ci sono grandi problemi e difficoltà nelle carceri italiane.
Mi presento a voi come testimone dell’amore di Dio. Vengo a dirvi che Dio vi ama, e desidera che percorriate un cammino di riabilitazione e di perdono, di verità e di giustizia, per sperimentare la salvezza che Gesù Cristo è venuto a portare nel santo Natale.
Le letture di oggi presentano la salvezza come un incontro tra Dio e l’uomo, nel quale Dio prende l’iniziativa e l’uomo risponde con la fede.
La prima lettura, tratta dal profeta Isaia, è un invito alla gioia , alla fiducia, alla speranza. Anche in carcere non si può rimanere in preda a ragioni di tristezza, all’inverno del cuore. Isaia mentre il popolo è ancora in esilio profetizza la gioia dell’incontro e anche ciò che è necessario perché questo incontro avvenga.
Dio, in Gesù, è il Dio che viene. Dunque anche noi dobbiamo muoverci, camminare verso di Lui. Ecco perché il profeta richiama alla necessità di riprendere vigore.
Ciò che può vincere lo smarrimento in cui a volte cade il nostro cuore è questa sola certezza: ” Il Signore Gesù viene a salvare!
La chiave di lettura poi ce la dà il Vangelo dove Gesù comanda al paralitico: “Alzati e cammina!”.Gesù perdonandogli i peccati, sblocca la sua paralisi interiore, così come dà alle sue gambe la forza di camminare.
Rivolgendosi innanzitutto a quell’uomo Gesù gli dice: “Ti sono rimessi i tuoi peccati”. Nessuno dei presenti aveva cercato questo. Semmai, gli amici volevano la guarigione del corpo e i farisei solo questa aspettavano, non per amore di quel malato ma per poter screditare Gesù. Ma Gesù va oltre il corpo e vede anche il cuore di quel paralitico, ossia il bisogno che ha di essere perdonato, accolto, amato. E gli dona sia la salute del corpo che quella del cuore.
La misericordia di Dio non è disarmata dalla cattiva volontà dell’uomo, Gesù perdonando i peccati dimostra che è Figlio di Dio.
Gesù dimostra di avere il potere di rinnovare radicalmente e totalmente la persona umana, se essa ha fede in lui. Il miracolo si realizza per la fede degli amici di quel paralitico; una fede fatta di amore, di tenacia, di perseveranza e persino di astuzia. Arrivano a scoperchiare il tetto pur di portare il loro amico davanti a Gesù.
E Gesù, Gesù vedendo la loro fede, vedendo il loro amore, guarisce quel paralitico in modo pieno, ancor più, di quanto essi si aspettino.
L’avvento è il tempo del perdono che ci rivela il volto di un Dio pieno di tenerezza e di bontà che perdona senza condizione, restituendo dignità e movimento alla persona paralizzata dal peccato. Riscopriamo il dono del perdono, riceviamo questa liberazione che ci restituisce la capacità di amare!
C’e una grande possibilità di salvezza, ma per chi, consapevole d’essere inceppato e zoppicare, si lascia guarire dalla potenza redentrice del Signore.
Andare incontro a Gesù che viene è possibile, è anzi la vera ragione per gioire e sentirsi profondamente vivi in Lui. Bisogna però conoscere le nostre paralisi e consegnarle a Lui, in pienezza di fiducia.
Spesso lo “smarrimento del cuore” è legato a qualche paralisi interiore: paralisi di fede, paralisi nei nostri rapporti che non sono di accettazione di noi e dell’altro, paralisi nel rifiuto a essere e a fare come vuole Dio.
Ma la gioia è la certezza che il Signore ci vuole sciogliere dalle nostre paralisi. Purché crediamo, ci fidiamo del perdono di Dio e consentiamo a convertirci.
Cerchiamo di sprofondarci in sentimenti di pentimento per i nostri peccati in questo tempo d’Avvento, affinché la nostra attesa non sia vana e la sua venuta ci trovi pronti nella fede e vigilanti nella preghiera.
Anche noi possiamo sperimentare questa gioia profonda e autentica, accogliendo Gesù come la luce della nostra vita in questo santo Natale, se come i pastori e i magi ci avviciniamo alla grotta di Betlemme con il cuore colmo di domande e di speranze.
Il Natale ci dà la gioia di voler bene noi stessi e gli altri nostri fratelli e sorelle.
Se ci lasciamo raggiungere da questo messaggio, anche noi , siamo investiti da una grande gioia, che ci fa superare le nostre paure e ci dalla certezza che anche il dolore più atroce può diventare luogo dell’amore, e anche l’abisso della nostra miseria può accogliere la misericordia, e anche la disperazione più nera può tramutarsi nella speranza più ardita.
Il mio augurio che questo Natale che ci apprestiamo a vivere, non solo nella Notte santa, ma per tutti i giorni della nostra vita , ci riempia di gioia e la stella dei Magi illumini la notte di tutti i carcerati e di tutte le persone deluse e scoraggiate che guardano al giorno della nascita di Gesù come un alba nuova in cui rinasce la speranza.
Il Natale per il carcere deve essere un segno di umanizzazione: come Gesù si è fatto uomo, così il carcere è chiamato a diventare luogo di una umanità più autentica.
Vorrei potermi mettere in ascolto della vicenda personale di ciascuno. Ciò che non posso fare io, lo possono i Cappellani e gli altri volontari, che sono accanto a voi a nome di Cristo. Anche con il loro aiuto, il carcere può acquistare un tratto di umanità ed arricchirsi di una dimensione spirituale, che è importantissima per la vostra vita. Proposta alla libera accettazione di ciascuno, questa dimensione va considerata un elemento qualificante per un progetto di pena detentiva più conforme alla dignità umana.
Riconciliare la società e le persone che hanno commesso reati è la prima forma di una pena intelligente, da una parte, e dall’altra una costruzione di percorsi, come prevede la Costituzione, di ricostruzione della persona.
Lasciate, dunque, che io vi chieda di tendere con tutte le vostre forze ad una vita nuova, nell’incontro con Cristo. Di questo vostro cammino non potrà che gioire l’intera società. La pena dentro la prigione ha senso se, mentre afferma le esigenze della giustizia e scoraggia il crimine, serve al rinnovamento dell’uomo, nella riconciliazione con se stessi, con gli altri, con Dio, per rientrare di nuovo nella società.
Pure dal carcere, dunque, è possibile sentirsi vivi, sognare una vera libertà, preparandosi ad uscire “a testa alta” nella società. È questa la grazia, ma anche il compito che dobbiamo chiedere, a partire dal Santo Natale del Signore, impegnandoci con il nuovo anno a realizzare questo nostro sogno.
Auguro a ciascuno di voi di fare esperienza dell’amore liberante di Dio. So bene che ognuno di voi vive guardando al giorno in cui, espiata la pena, potrà riacquistare la libertà e tornare nella propria famiglia.
Desidero rinnovarvi il mio saluto cordiale e il mio augurio di pace e di bene che estendo anche ai vostri familiari , mentre chiedo a voi di ricordarmi nelle vostre preghiere.
Buon Natale.
Mons. Michele Pennisi
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