Pubblichiamo l’Omelia pronunciata da Sua Eminenza il Signor Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero della Csusa dei Santi in occasione del XX anniversario dalla beatificazione di Pina Suriano, il 5 settembre 2024.
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9). Riflettiamo subito per qualche momento su queste parole del Santo Vangelo, che abbiamo insieme ascoltato. Riflettiamoci, perché in esse possiamo trovare la chiave per entrare nella vita di questa giovane donna, Pina Suriano, di cui oggi ricordiamo i venti anni dalla beatificazione. Quelle parole di Gesù – dicevo – possono esserci d’aiuto perché ripetendole sant’Agostino diceva: «Ecco dov’è l’origine delle nostre buone opere! E come potremmo noi amare, se prima non fossimo amati?» (In Jo. ev. tract. 82, 2: PL 35, 1843).
Appare così, sorelle e fratelli carissimi, un binomio nel quale possiamo incastonare la vita terrena della Beata: l’amore Dio, scoperto e riconosciuto con gratitudine, e la carità con la quale questo amore si restituisce. A chi? A Dio, sicuramente, ma come? Con la carità verso il prossimo! Ci ammonisce, infatti, san Giovanni: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1Gv 4,20-21). Quando, nel processo canonico per la sua beatificazione, i testimoni parlavano di Pina Surianodicevano che era una innamorata di Dio e, per altro verso, mettevano pure in forte evidenza la sua carità verso il prossimo.
«Il prossimo faceva parte della sua vita», dicevano e questa dedizione le costò non poche sofferenze anche da parte della madre, la quale aveva sognato per lei un bel matrimonio e per questo la contrastò nella sua scelta vocazionale per la vita consacrata. Pure quando seppe che Pina si prendeva cura di alcune bambine affette da tubercolosi, la minacciò con insulti. In paese, però, la presenza giovane Pina era desiderata come un raggio di sole nella tempesta. Per tutte queste cose, carissimi, riflettendo sulla beata Pina Suriano e preparandomi a questo incontro eucaristico, ripensavo a quell’espressione che Papa Francesco ha scritto nella sua esortazione apostolica Gaudete et exsultate: «la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio» (n. 7).
L’espressione è molto efficace, perché ci aiuta a riconoscere la santità nella vita quotidiana, nella vita di relazione, nell’incontrarsi, nello stare insieme. Quand’ero ragazzo ho vissuto un’esperienza che oggi, ormai, non si vede quasi più nei nostri paesi e nelle nostre città è addirittura inconcepibile: nelle sere d’estate le famiglie portavano delle sedie davanti alla propria porta aperta e le accostavano sul marciapiede, o sull’orlo della strada e si stava insieme, si colloquiava, si narravano delle storie, si comunicavano i problemi e le difficoltà … La «porta accanto» era pure la «porta aperta», ossia la porta della visita, dell’accoglienza, del dono; la porta dove pure si confidano i problemi, le difficoltà, i disagi ... Ecco, carissimi, quello che mi rievoca la vostra Beata.
Dove e come ha fatto tutto questo? Anzitutto nel contesto di una parrocchia. La realtà parrocchiale è – almeno a mio parere – una delle cose più belle e preziose che la nostra Chiesa ha scelto per la sua azione pastorale! So bene che per la «parrocchia» spesso sono suonate e suonano ancora le «campane a morto». Eppure è una autentica risorsa per la vita cristiana. È certo conclusa la cosiddetta «civiltà parrocchiale» e la parrocchia non è più l’unico luogo dove poter vivere la fede. Essa, quindi, pur se necessaria, non è, però, autosufficiente. L’odierna, vorticosa mobilità umana, oltretutto, e la pluralità quantitativa e qualitativa dei contesti vitali obbligano senz’altro a guardare oltre la parrocchia, nella ricerca degli altri contesti dove l’uomo pure vive, ama e soffre, opera e si riposa, stabilisce relazioni culturali, sociali, economiche.
Dico queste cose davanti al vostro Vescovo, che ringrazio di cuore per questo invito, accettato, peraltro, anche allo scopo di nuovamente incontrarlo. Egli – lo sapete – è stato per molti anni mio prezioso e valido collaboratore. Sono, perciò, sicuro che egli condivide la mia convinzione che, pure nei nostri i tempi, la parrocchia ha importanti valori da custodire e promuovere. Se non altro essa è lì! Un bravissimo e ancora attivo, benché novantenne, teologo italiano, Severino Dianich, ha lasciato scritto: «Un cristiano può avere vissuto esperienze esaltanti e assolutamente determinanti per la sua storia cristiana in un gruppo, in un’associazione, in una congregazione o in un ordine religioso, tuttavia l’interruzione di una simile esperienza non comporta di per sé né un abbandono, né un allentamento dei suoi rapporti con la Chiesa. Egli ha sempre il diritto di ritrovare il suo posto e la sua vita ecclesiale nella comunità del suo territorio, là dove, per accoglierlo, non gli sarà chiesto niente altro che la professione della fede cattolica. È facile rendersi conto che siamo in presenza di un valore fondamentale per l’esistenza ecclesiale; l’estrema garanzia della libertà del cristiano» (in Aa.Vv., Parrocchia e pastorale parrocchiale, EDB 1986, p. 80).
La beata Pina Suriano è vissuta in parrocchia e lì, grazie a Dio, ha trovato dei bravi sacerdoti, che hanno saputo accompagnarla e spiritualmente guidarla; lì ha trovato l’Azione Cattolica come luogo fraterno dove crescere nel cammino della santità; lì ha trovato la Conferenza di san Vincenzo con cui, specialmente nel periodo della guerra, ha potuto soccorrere tante persone. Sì, perché come non si è cristiani, neppure si è santi da soli. La santità è sempre una «porta accanto», è sempre una «porta aperta.
Permettete un’ultima riflessione. Dalla Prima Lettera di san Pietro abbiamo udito queste parole: «siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove» (1Pt 1,6). Di Pina Suriano i testimoni riferiscono che spesso diceva: «Voglio vivere soffrendo, voglio soffrire cantando». La frase può sembrare strana, ma ha una sua profonda verità. Chi s’impegna ad amare e accetta di essere amato non può non mettere in conto anche la sofferenza. Ognuno, che ama con sincerità, sperimenta questa verità.
Un grande maestro della Chiesa, san Tommaso d’Aquino, diceva che la carità è sempre molto gioiosa ed è pure disponibile al massimo grado; per questo tutto quello che facciamo e pure quello che soffriamo per amore diventa anche piacevole (cf. De virtutibus, q. 2 a. 1 co.).
In questa nostra stagione, che qualcuno ha chiamato «epoca delle passioni tristi» (Miguel Benasayag), il modello della beata Pina Suriano ci aiuti a trovare e realizzare progetti diversi, che aprano a quelle che altri, specialmente in campo pedagogico, educativo, chiamano «passioni gioiose» (Mariagrazia Contini). Lo saranno soprattutto se poggiate sulla carità.