Gaudium Christus est! È l’espressione di Sant’Ambrogio che ho scelto come motto per il mio episcopato.
Esattamente un anno fa, in una caldissima domenica di fine luglio, entravo in punta di piedi nella imponente cattedrale di Monreale, abbagliato dalla sua bellezza e dalla sua gloriosa storia. Nel mio incedere sentivo il sostegno dell’amicizia di molti sacerdoti e fedeli venuti della Diocesi Suburbicaria di Albano; al contempo sentivo l’abbraccio accogliente dell’episcopato siciliano, del presbiterio e del diaconio dell’Arcidiocesi di Monreale; sentivo il grande affetto di tutte le altre componenti ecclesiali presenti e festanti. È stata una celebrazione che ha reso visibile, nei segni liturgici, la grandezza di Dio che ha guardato alla mia umiltà e l’ha rivestita della sua sovrabbondante grazia. Un mistero grande!
Oggi, a un anno di distanza da quel giorno, ringrazio il Signore per la sua infinita misericordia, ancor più consapevole della sproporzione che vi è tra la mia persona e il compito che la Chiesa mi ha affidato. Questa distanza è, però, colmata dal significato delle parole di sant’Ambrogio che sono per me forza e sostegno: Gaudium Christus est. La vera gioia non è un sentimento e nemmeno una situazione esistenziale, uno stato di vita, ma una persona: Cristo!
Carissimi la vera gioia non si trova nell’essere sposati, missionari, o sacerdoti; nemmeno nell’essere arcipreti, decani, vicari, vescovi o cardinali; la vera gioia sta, solo ed esclusivamente, nell’incontro personale con Cristo. Solo rimanendo dentro la relazione col Padre e il Figlio nello Spirito Santo si sperimenta vita piena e gioia duratura.
Oggi la Chiesa celebra la memoria di Sant’Ignazio di Loyola, il grande maestro del discernimento. Nella liturgia delle ore abbiamo meditato un brano tratto dagli “Atti” raccolti da Ludovico Consalvo ove si legge che Ignazio, appassionato lettore di “romanzi e d’altri libri fantasiosi sulle imprese mirabolanti di celebri personaggi”, durante il periodo di convalescenza dovuto alla gamba ferita sul campo di battaglia, ebbe l’occasione di leggere alcuni testi sulla vita di Gesù e dei santi e fece questa considerazione: “Quando pensava alle cose del mondo, era preso da grande piacere; poi subito dopo quando, stanco, le abbandonava, si ritrovava triste e inaridito. Invece quando immaginava di dover condividere le austerità che aveva visto mettere in pratica dai santi, allora non solo provava piacere mentre vi pensava, ma la gioia continuava anche dopo”.
Gaudium Christus est! È questa la mia esperienza nel primo anno di servizio episcopale. Tante sono le richieste, gli impegni, tanti i miei ritardi e inadempienze… ma al netto di un anno di servizio dico che la gioia è molta di più, perché Cristo non delude! In lui è la mia gioia!
Nella bellissima omelia pronunciata da sua eminenza il Cardinal Marcello Semeraro per la mia ordinazione episcopale –per la quale sono molto grato perché spesso vi ritorno nella mia personale meditazione– disse: “L’amicizia di Gesù con te, carissimo Gualtiero, oggi è testimoniata da questa assemblea che prega per te, che guarda a te con simpatia e che attende, con fiducia, l’opera del tuo ministero”. La numerosa presenza di quest’oggi, qui a Bisacquino, di voi carissimi sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, consacrati e consacrate, fedeli e collaboratori laici, sono per me segno dell’amicizia di Gesù che non abbandona, ma sostiene chi a lui si affida. Anche la presenza dei miei genitori e di alcuni amici venuti da Pavona, insieme ai tanti messaggi augurali ricevuti, mi dicono l’amore provvidente di Dio Padre, e in me esplode la gioia!
La Parola di Dio, proclamata in questo giorno di festa, ci richiama alla logica del Regno dei cieli: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape … esso è il più piccolo… ma una volta cresciuto è più grande delle altre piante». Di me lo posso dire sicuramente: sono poca cosa. Non posso affermarlo per ciascuno di voi, ma con certezza lo posso dire di noi–Chiesa dentro questo cambiamento d’epoca: siamo poca cosa. Ma la Parola di Dio ci rammenta che se abbandoniamo la nostra piccolezza nelle mani di Dio «diventa un albero, tanto grande che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido tra i suoi rami». La nostra piccolezza diventa casa accogliente per chi si trova nel bisogno.
Alle volte mi sembra di fare poco, dovrei fare di più. Alcuni dicono “quest’anno non abbiamo fatto nulla”, “bisogna fare questo e quest’altro” … Io credo, carissimi sacerdoti, fratelli e sorelle, che dobbiamo fare scelte operative sempre più conformi alla logica del Regno dei cieli, perché è questo che dobbiamo costruire è di quest’opera che siamo collaboratori. È una logica da “perdenti” di cui nessuno si accorge e che questo mondo disprezza. Dobbiamo, nella nostra piccolezza, essere come il lievito che, pur essendo poca cosa e sembra scomparire nella farina, mantiene in sé la forza di far crescere la massa. Non è necessario che ci riconoscano, che scrivano di noi sui giornali e nemmeno che ci ringrazino. A noi è chiesto di perderci, entrare dentro, confonderci perché la farina sia «tutta lievitata».
Siamo chiamati a vivere il ministero di Mosè di cui ci ha parlato il libro dell’Esodo nella prima lettura. Mosè sale sul monte ed è una grande fatica, esso lo fa per stringere alleanza tra Dio e il popolo. La Chiesa ha sempre svolto questo ministero: stringere alleanza tra Dio e il popolo. Oggi, però, ci sembra di non riuscire più a farlo. C’è qualcosa che il popolo ci sta chiedendo e, come Giosuè, non comprendiamo fino in fondo. Si è creata una distanza tra la vita della gente e il nostro annuncio. Sembra che ciò che annunciamo non riesca più a intercettare la vita della gente, i sogni dei giovani, i quali, essendo cercatori di gioia, non si accontentano di un annuncio astratto che non tocchi le loro esistenze, perciò vanno a cercare altrove e spesso trovano i nuovi “vitelli d’oro” costruiti dal nostro modo: successo, narcisismo, prevaricazione, piacere personale, devianza…
Carissimi dobbiamo cambiare! Dobbiamo avere il coraggio, come Mosè, di frantumare le vecchie tavole delle abitudini e delle sterili tradizioni; dobbiamo salire nuovamente sul monte per stabilire una nuova alleanza tra Dio e questo mondo. Io come Vescovo sento questo compito come prioritario, ma sono anche consapevole che da solo non posso fare nulla. Rammentava il cardinal Semeraro nella sua omelia: “Un vescovo non può governare isolatamente” e ricordava che il Concilio Vaticano II definisce tutti i presbiteri “necessari” collaboratori del vescovo (PO, 7). Carissimi sacerdoti, voi siete “necessari”, vi chiedo di essere con me ministri di giuntura, tessitori di comunione. Lo chiedo anche a tutti voi carissimi fratelli e sorelle, perché la Chiesa non la fa il vescovo con i sacerdoti, solo insieme possiamo essere la Chiesa di Gesù!
Al compimento di questo primo anno mi pare che il Signore, attraverso la voce di Papa Francesco e della Chiesa italiana, sta domandando a me e a tutti noi: abbiate il coraggio della fraternità per fare della sinodalità il vostro stile di vita. Sia questo il nostro progetto pastorale. Solo così saremo in grado di frantumare le vecchie tavole del “si è sempre fatto così” per stringere una nuova alleanza con Dio e con il mondo intero.
Maria, qui venerata con il titolo di Madonna del Balzo, ci sia guida e infonda in noi il coraggio del cambiamento. Amen.