Mandato ai Ministri straordinari della comunione Eucaristica.
Memoria liturgica di San Giuseppe Maria Tomasi.
Carissimi, in questa celebrazione nella quale facciamo memoria di San Giuseppe Maria Tomasi, uomo di questa nostra terra che tanto ha amato la liturgia e i poveri, la nostra Chiesa diocesana rinnova il mandato annuale ai ministri straordinari della Comunione che saluto con gratitudine per la disponibilità a questo servizio. Alcuni di voi per la prima volta ricevono questo mandato così prezioso.
Ma di che cosa si tratta? Quale è il fine di questo conferimento?
È chiaro che non si tratta semplicemente di “portare o distribuire la comunione”. Non siete dei fattorini o dei corrieri. Nel rito di mandato, che tra poco vivremo, sarete chiamati a rispondere a due domande che chiedono un doppio impegno e ben significano il vostro servizio.
La seconda domanda vi chiede di “impegnarvi con diligente attenzione e con profondo rispetto nella distribuzione dell’Eucaristia”, quindi non semplicemente dei corrieri, ma uomini e donne consapevoli del Mistero posto nelle vostre mani. Vorrei portare la nostra attenzione, particolarmente, sulla prima domanda e sul primo impegno, che così recita: “Volete assumere l’ufficio di ministri straordinari della Comunione per il servizio e l’edificazione della Chiesa?”. È chiaro allora: il vostro compito è “per il servizio e l’edificazione della Chiesa”. il vostro ministero vi renderà costruttori della Chiesa. Quello che fate, lo fate in nome della Chiesa, dentro la Chiesa, per la Chiesa.
San Giuseppe Maria Tomasi che, come abbiamo pregato nella colletta, ha “coltivato con somma pietà la scienza delle Sante Scritture e della liturgia”, con la sua testimonianza di vita ci ricorda che il fondamento della sequela autentica di Cristo poggia su tre pilastri: l’ascolto e la conoscenza della PdD, la vita liturgica ed il servizio ai più bisognosi. Voi siete a servizio dei bisognosi: sono i malati, coloro che non possono muoversi per convenire alla mensa della Parola e dell’Eucaristia, ai quali vi rivolgete; voi siete a servizio della liturgia perché portate il conforto della comunione eucaristica nelle case; voi siete anche portatori di una Parola che non vi appartiene, la Parola di Gesù di cui dovete quotidianamente nutrirvi così come faceva San Giuseppe Maria.
Vorrei cogliere dalla Parola che è stata proclamata tre parole che l’evangelista Giovanni mette sulla bocca del Battista. Parola, queste, che mi pare possano essere valide indicazioni per il cammino di discepolato di ciascuno di noi e, in particolare, per il vostro servizio ecclesiale di ministri straordinari della Comunione.
1] La prima: «Io non lo conoscevo». Il grande profeta Giovanni, il battezzatore, colui che Gesù definì il “più grande fra i nati da donna”, colui la cui parola attira migliaia di persone che affrontano un lungo cammino nel deserto di Giuda per venire ad ascoltarlo e a farsi battezzare, colui che fa tremare la rinata classe sacerdotale preoccupata da questo anarchico di Dio … ammette, dopo avere battezzato il Nazareno, «Io non lo conoscevo». Giovanni ripete per due volte questa affermazione. L’incontro con il Signore è sempre sorprendente! Non è mai come pensavi fosse. Non è nemmeno come l’ultima volta che lo hai incontrato. Anche Giovanni, pur annunciandolo, consapevole di essere voce di una Parola che non gli appartiene, non immaginava fosse così: umile, uomo, in fila con i peccatori, che riceve un battesimo di cui non ha bisogno.
Fratelli e sorelle, Dio agisce così anche con noi. Anche dopo decine di Natali celebrati, dopo ora di preparazione e di studio del mistero eucaristico, egli ci sorprende e ci raggiunge quando meno ce lo aspettiamo, nel modo che non ci immaginiamo. Se vogliamo accoglierlo dobbiamo rimanere aperti alla novità di Dio: non chiudiamolo nei nostri schemi o nelle nostre celebrazioni.
2] «Ecco l’agnello di Dio», comprendiamo ancor meglio la forza di queste parole se teniamo presente la grande sorpresa che Giovanni il Battista stava vivendo, mentre le pronunciava, nel vedere Gesù tra i peccatori. Giovanni non considera Gesù proprietà privata, non lo costringe ad adeguarsi alla sua sensibilità spirituale, al suo annuncio, alle forme che lui immaginava e viveva. Si lascia sorprendere e, soprattutto, lo indica al popolo come il Messia atteso. Il Battista, va oltre la sua personale esperienza e lo indica ad ogni uomo e donna come compimento, come risposta di Dio alle attese dell’umanità intera.
Carissimi dobbiamo essere liberi di indicare Gesù anche se sfugge al nostro controllo e alla nostra organizzazione.
3] «E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio». Giovanni Battista non si limita a vedere e stupirsi, ma lo testimonia. È questo il passaggio che fa la differenza nella vita del discepolo. Non solo lo riconosce e lo indica agli altri, ma ne fa l’unica ragione di vita per la quale è pronto anche a morire: Giovanni lo testimonia con il sangue.
Siamo chiamati non solo a portare Gesù, a distribuire la santa eucaristia, ma a divenirne testimoni. A renderlo presente nelle nostre azioni, nelle nostre parole e nelle nostre scelte. Testimoniare con la vita significa rinunciare a sé stessi e far emergere Gesù. Significa essere coerenti con la propria fede.
Nello svolgere il vostro ministero siate sempre consapevoli che Gesù non vi appartiene, nessuno può pensare di comprenderlo, trattenerlo, definirlo… lui è sempre oltre. Come Giovanni Battista siamo chiamati a indicarlo ai fratelli e alle sorelle, ma siamo anche chiamati ad esserne testimoni nelle nostre scelte di vita nella fedeltà e nella coerenza.
Concludo ricordando un piccolo particolare della vita di San Giuseppe Maria Tomasi che mi pare possa essere di incoraggiamento nell’essere autentici discepoli di Gesù che si lasciano sorprendere dalla sua venuta, lo indicano come Salvatore agli altri e, soprattutto, lo testimoniano con la loro vita. San Giuseppe Maria Tomasi fu un raffinatissimo studioso, che mai trascurò i doveri di sacerdote e di religioso e nemmeno la sua intima vita spirituale. I suoi testi, le sue pubblicazioni iniziarono a riscuotere grandissimo successo tra i dotti dell’epoca, tanto che tutti lo cercavano per discutere con lui ed elogiarlo. Per sottrarsi all’attenzione e alle lodi provenienti da questi ambienti accademici, prese a sottoscrivere le sue opere con il cognome della nonna paterna: Giuseppe Caro.
Un gesto apparentemente banale, ma che nasce da una profonda vita spirituale radicata nella Sacra Scrittura. Un gesto apparentemente banale che dice il suo voler servire la Chiesa senza guadagnare nemmeno gli elogi alla sua persona, al suo impegno, alla sua intelligenza. Invito tutti a noi a fare una scelta, anche apparentemente banale, che sia una testimonianza del nostro essere discepoli di Gesù capaci di rinunciare a noi stessi per lasciare spazio al Dio-con-noi. Decidiamo, ciascuno di noi, una scelta banale che ci ricordi che dobbiamo servire Cristo e la Chiesa e non servici di Cristo e del ministero ecclesiale.
Lo chiediamo per intercessione di San Giuseppe Maria Tomasi. Amen.