Carissimi celebriamo con particolare giubilo questa eucaristica anzitutto perché ci introduce nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, colonne portanti della Chiesa, ma anche perché ordinerò diacono per la Chiesa di Monreale il seminarista Giuseppe Bongiorno.
Caro Giuseppe, con lo sguardo rivolto ai due grandi Apostoli del Vangelo, invochiamo su di te il dono dello Spirito perché, attraverso l’imposizione delle mie mani e la preghiera consacratoria, tu venga costituito diacono “per sempre”. Sì, “per sempre” sarai diacono, perché il carattere della diakonía che questo rito ti conferisce, non è transitorio, non “dura” fino al prossimo sacramento. Esso dovrà caratterizzare la tua persona in obbedienza alla parola di Gesù: «chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10, 43b-44). Sono parole rivolte in modo particolare ai dodici, a coloro che lui stesso ha chiamato a seguirlo più da vicino. Mentre essi discutevano su chi fosse il più grande e tentavano di spartirsi le poltrone, Gesù li riporta alla logica del Regno di Dio: chi intende essere più grande, scelga come modus vivendi la diakonía, il servizio.
In particolare il ministero del diaconato è il compito del servo, dello schiavo. Il greco classico stabilisce per la famiglia lessicale che deriva dal verbo diakonéo un vincolo esplicito con il servizio della tavola, che è il tipico compito del servo. Giuseppe, è questo che oggi ricevi venendo inserito nel gruppo dei nostri diaconi: possiate insieme, a nome della Chiesa, mostrare il volto di Cristo servo che sfama i più poveri ed ogni bisognoso.
Dall’ordinazione diaconale, quindi, non consegue una crescita, non salirai su uno scalino più alto rispetto a quello che occupi ora, ma discenderai, ti abbasserai per permettere a Cristo, attraverso la tua persona, di continuare a lavare i piedi ai suoi discepoli e all’umanità stanca e affaticata.
Sarai non soltanto servo “di Cristo”, ma anche servo “per Cristo”, cioè: a motivo di Cristo servo della Chiesa. Servo di uomini e donne che non sono, come Egli è, santi e innocenti, ma peccatori, afflitti da umane debolezze, segnati dal limite, dall’egoismo e dall’orgoglio.
È più facile servire Cristo che servire la Chiesa. Questa Chiesa, perché non ve n’è altra. Ma, lo sai, non c’è Cristo senza Chiesa, non c’è Capo senza Corpo. Se, dunque, tu vorrai servire Cristo, dovrai essere disposto a servire la Chiesa, questa Chiesa monrealese; se vorrai servire il Santo, dovrai servire chi è segnato dal peccato, come te, come me, come ciascuno di noi.
Più facile è servire Cristo. Non è facile servire la Chiesa. Ma proprio questo è il tuo ministero, questa è la diakonía a te affidata!
Per sostenere questo impegno, che deve essere di ciascun battezzato, colgo dalla Parola di Dio, due indicazioni che emergono dalla testimonianza degli Apostoli.
1] La prima ci è suggerita dall’esperienza di Pietro narrata dal Vangelo. Come è accaduto al primo degli Apostoli, anche tu Giuseppe, sentirai a te rivolta con insistenza la domanda: «mi ami più di costoro?» (Gv 21,15). Gli studiosi ci dicono che nella cultura ebraica ribadire tre volte una espressione esprimeva un superlativo, una grandezza non comune. Gesù sta chiedendo a Pietro un amore grande, superlativo, un amore che assomigli all’amore agapico di Dio. Ma Pietro, di fronte a tale richiesta, consapevole della propria debolezza, risponde con un amore di amicizia, più umano, più “possibile”.
Caro Giuseppe conferendoti questo ministero la Chiesa ti ricorda che Gesù ora vuole “di più” da te: «mi ami più di costoro?». Con la ripetizione di questa domanda, Gesù non intende mettere in dubbio l’amore di Pietro e nemmeno il tuo. Nella triplice formulazione della domanda si enfatizza l’ostinata fiducia di Dio nell’umanità: Gesù crede in Pietro più di quanto lui crede in sé stesso. Mentre Pietro si accontentava di essere il “capo” del gruppo dei discepoli in modo semplicemente “umano”, cioè in termini di efficienza, di capacità pratica, di forza, di potere, Gesù vuole verificarne l’unica credenziale necessaria per essere “ministri” per gli altri: un amore più grande di quello degli altri discepoli. Gesù non s’interessa di provare se Pietro è sapiente, colto, prudente, esperto conoscitore di uomini e cose. Gesù va al cuore della persona e al cuore di Dio: l’amore.
Caro Giuseppe non importa tanto che tu sia capace, ma che tu sia radicato nell’Amore di Dio in Cristo Gesù è necessario. Solo così potrai amare tutti e tutto ciò che fai.
2] La seconda indicazione che vorrei evidenziare, la ricorda Paolo scrivendo ai Galati: «Vi dichiaro che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano». È ardua l’impresa di Paolo: deve convincere i Galati che il suo operato viene da Dio, che nessun uomo lo ha mandato, che nessun uomo lo ha istruito, ma che tutto proviene da Dio attraverso Gesù Cristo suo Figlio. Caro Giuseppe, dopo l’invocazione dei Santi e la preghiera consacratoria, porrò nelle tue mani il libro del Vangelo, lo stesso Vangelo di Paolo. Esso non ti appartiene, a te è consegnato perché ne divenga autentico annunciatore. Colui, cioè, – così esplicita il rito – che crede nel Vangelo, insegna ciò che crede e vive ciò che insegna.
Ecco allora le due indicazioni per il tuo diaconato: sii radicato nell’amore di Dio e fai del Vangelo di Cristo la forma della tua vita.
Concludo con un riferimento alla prima lettura (At 3,1-10) che propongo a tutti noi, come modello dell’agire della Chiesa. Pietro e Giovanni salgono al tempio per pregare, così come noi ogni domenica veniamo in chiesa per la Messa. Una mano tesa sbarra loro la strada. È la mano di un povero storpio, inchiodato al suolo e alla miseria da una condizione fisica, che chiede qualche spicciolo. Gli apostoli si fermano, non vanno oltre perché da Gesù avevano compreso la lezione del buon Samaritano e avevano imparato che il pregare non è più importante del servire. Pur non avendo monete da offrire, sperimentando cioè l’umana incapacità e impossibilità di soddisfare il bisogno e la richiesta del povero, donano ciò che li rende ricchi: «quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!». Carissimi fratelli e sorelle, questa è la Chiesa! Questa è la sua missione! Questa è la nostra missione: dare vigore alle gambe di tutti perché, con gioia, insieme con noi lodino il Signore: «Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e, balzato in piedi, si mise a camminare; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio». È questa la diakonía della Chiesa.
Caro Giuseppe abbi il coraggio dell’amore superlativo e dona generosamente il Vangelo, consapevole che non ti appartiene e che la sua efficacia non dipende da te.
I Santi Apostoli Pietro e Paolo ti siano d’esempio e di sostegno. Amen