L’orribile giorno, fra quegli orribili giorni, in cui il bambino assistette all’impiccagione (sì!) di un altro bambino, che «aveva il volto di un angelo felice», sentì gemere dietro di lui: «Dov’è Dio? Dov’è? Dov’è dunque Dio?». E in lui una voce rispondeva: «Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca» (Francois Mauriac, introduzione a ‘La Notte di Elie Wiesel’, Giuntina 2003, p.7)
È questa fievole voce interiore che ci ha portati qui, questa sera, in questo luogo. Negli accadimenti c’è una presenza che apre nuove prospettive di senso e che ci chiama alla corresponsabilità di mettere in atto nuovi modelli di vita.
Le parole che ho letto all’inizio, sono racconto di quanto accaduto realmente in un campo di concentramento nazista durante la seconda guerra mondiale. Quei luoghi di violenza e di morte avevano come effetto la cancellazione della dignità umana, sia delle vittime che dei carnefici. Purtroppo, non è storia passata ma è storia di oggi: accade nella striscia di Gaza; accade nelle acque del Mediterraneo; accade a Palermo e a Monreale; accade in ogni Città degli uomini. La logica violenta della sopraffazione, tipicamente mafiosa, alla quale alcuni incoscienti vergognosamente inneggiano sui social, mira a cancellare la coscienza e la dignità umana, a spegnere la speranza e a condannare la persona alla rassegnazione del “nulla mai cambierà”. Il nostro essere qui è segno di resistenza e desiderio di cambiamento. Alcuni hanno detto “tanto è inutile” e sono rimasti chiusi nelle loro case e nelle loro cose. Qualcun altro ci guarda con aria di sufficienza e superiorità. Noi, come quel bambino nel campo di concentramento, scegliamo di ascoltare la debole voce interiore che ci sussurra: “Dio è lì, steso a terra accanto a Paolo, Massimo, Andrea, Salvo, a tutti i nostri figli e amici, vittime di una insensata violenza armata”; è una voce che ci interpella chiedendoci di fare la nostra parte per fermare la violenza e restituire dignità ad ogni persona e ad ogni ambiente. Se non ci opponiamo alla violenza, lei cancellerà la nostra dignità. È notizia di ieri: ancora una bomba ha attentato la vita di un giornalista italiano e di sua figlia. Il problema non è lo Zen, non sono le vie della movida di Palermo o di Monreale; se ci occupassimo solo di questo avremmo fallito. Dobbiamo agire per costruire una cultura di pace e di fraternità partendo da Palermo, Monreale, dallo Zen e da tutte le periferie.
Cari fratelli e sorelle tutti, carissimo fratello vescovo Corrado, rappresentanti delle religioni, autorità civili e militari, uomini e donne di buona volontà, questa sera, convergendo in questo nostro quartiere, intendiamo affermare che la Città è degli uomini e delle donne di pace. Non degli assassini, degli spacciatori, dei violenti, dei ladri, dei mafiosi che uccidono gli innocenti. La Città è per chi vuole vivere nella pace, nella giustizia e nella fraternità. Nella Città umana, in ogni suo quartiere, piazza, strada e vicolo, nessuna persona deve essere condannata a sottostare alla cultura mafiosa, ma deve sentirsi parte di una comunità umana che accoglie, accompagna, sostiene e, se necessario, perdona. Questa è autentica umanità! Questo è il compito irrinunciabile della Chiesa e dei cristiani!
È un cammino impegnativo che si costruisce con i piccoli passi di ciascuno, non bastano quelli delle Istituzioni, servono anche i nostri. La pagina del vangelo che è stata proclamata ci invita proprio a questo. In essa risuona un progetto di umanità nuova. Per tale ragione le beatitudini – questo è il nome che generalmente viene dato all’ insegnamento di Gesù che abbiamo appena letto – hanno sempre attratto e affascinato uomini di ogni religione e cultura, perché in esse c’è la verità dell’umano. Per questo invito tutti noi qui presenti, uomini e donne di buona volontà, a leggere e rileggere queste parole, lasciando che penetrino la nostra interiorità e divengano in noi germoglio di umanità nuova.
Mi permetto di condividere tre brevi sottolineature che credo utili per la rilettura personale.
1] «Gesù messosi a sedere insegnava» e ad ascoltarlo, dice il testo, c’erano i discepoli ma anche la folla. E’ quindi un insegnamento rivolto a tutti.
Quella che Gesù propone non è una legge più impossibile di quella antica. Le sue parole non sono legge, ma Vangelo (Bella Notizia); non sono esigenze nobili e difficili, ma il dono sublime e bello che ci offre facendosi nostro fratello. Ciò che Lui vive, è ora reso possibile a tutti noi che siamo diventati figli e, quindi, chiamati a vivere da fratelli.
Le beatitudini, dunque, sono insegnamento per ogni persona che intende vivere la fraternità umana. Sono la traccia data a chiunque cerchi la verità di sé stesso/a. Sono parole che salvano questo mondo umanizzando la nostra vita, la nostra convivenza e, quindi, le nostre Città. Ecco perché le dobbiamo leggere, meditare, ascoltare e mettere in pratica.
2] La parola ricorrente è: «Beati». Essa fa riferimento alla gioia, alla felicità che tutti desideriamo profondamente e che, spesso, cerchiamo in modo sbagliato. Le beatitudini costituiscono un’antropologia, una descrizione di che cosa è davvero la persona felice, vera, autentica. Esse hanno una forza eversiva unica: capovolgono il mondo e i suoi principi. Gesù esalta poveri, umili, afflitti, vittime di ingiustizia, perseguitati, perché hanno il grande vantaggio che Dio è per loro, con loro, uno di loro. La beatitudine, dunque, non sta nella condizione in cui ci si trova, bella o brutta che sia, ma nella certezza che Dio è per noi, con noi, uno di noi.
La vita vera, che è gioia piena, non sta nel potere, nel successo, nella ricchezza, nelle armi, nella salute, nella sopraffazione, ma nell’essere amati e capaci di amare… gridiamolo in ogni angolo della Città! Gridiamolo nelle scuole, gridiamolo anche sui Social. Sussurriamolo a tutti coloro che si sentono scartati e dimenticati: vostro è il Regno dei cieli!
Ma attenzione, il “regno” la cui venuta continuiamo a invocare nel Padre nostro, non ha nulla a che vedere con l’idea di un territorio in cui il più ricco esercita il potere. L’espressione “regno” nel vangelo indica piuttosto l’azione del regnare, la regalità di Dio. Indica un intervento potente di Dio che viene incontro all’uomo, ai suoi problemi e alle sue sofferenze. Il regno è tutto ciò che Dio ha fatto, sta facendo e farà per te. Ecco dove sta la beatitudine: nella certezza di essere i destinatari del regnare di Dio: «di essi è il regno dei cieli», significa per voi è l’agire di Dio.
3] Da dove partire? Abbiamo ascoltato, nella versione in lingua francese delle beatitudini, la traduzione proposta da Nathan André Chouraqui, che ha reso il termine “beati” con “en marche”, ossia, “in cammino”, “incamminiamoci”. Propone questa traduzione spiegando che il corrispondente termine ebraico ashréi (presente 45 volte nella Bibbia ebraica) deriva dalla radice asher (אָשֵׁר ‘Āšêr), che ha il senso fondamentale di via che è stata liberata da tutti gli ostacoli che impediscono di giungere velocemente all’incontro con Dio. In altre parole, le Beatitudini tracciano la strada che permette di vivere la speranza, la gioia, la fraternità che si sprigionano dalla Croce del Risorto. Fuori dallo “stile” delle beatitudini la vita autenticamente umana diventa difficile.
In marcia, dunque, cari fratelli e sorelle che desiderate il bene! Camminiamo insieme! Non facciamoci scoraggiare. Ciascuno compia i passi che gli spettano nella direzione indicata dalle beatitudini, perché la Bella Notizia di Cristo crocifisso e risorto trasformi il nostro modo di abitare la Città. Nessun dolore, nessuna lacrima e nemmeno la morte ci potranno separare dall’amore di Dio e dal suo Regno di giustizia e di pace (cf Rm 8,35-39).
Maria addolorata ci insegni a tenere lo sguardo fisso su Gesù Crocifisso anche nei giorni in cui le lacrime annebbiano la vista, nella certezza che il Risorto asciugherà ogni pianto restituendoci occhi capaci di riconoscere la sua presenza, qui ed ora, che ci apre la possibilità di un vivere nuovo. Amen.
