Con il cuore ancora straripante di gioia per l’annuncio risuonato la notte di Natale «Oggi è nato per voi un Salvatore», ci troviamo insieme, in questa nostra Cattedrale, nel giorno della memoria liturgica di San Giuseppe Maria Tommasi anche per istituire i nuovi ministri straordinari della comunione.
Oggi vi chiedo una particolare preghiera di ricordo per il nostro carissimo confratello, sacerdote, Pietro Scalia nel trigesimo della sua nascita al cielo. Sono sicuro che in questo momento con noi loda il Signore e per noi prega per la sua amata Chiesa diocesana.
Nelle premesse al Rito di istituzione dei ministri straordinari, si legge: Questo ministero straordinario, quindi suppletivo e integrativo degli altri ministeri istituiti, richiama il significato di un servizio liturgico intimamente connesso con la carità e destinato soprattutto ai malati e alle assemblee numerose. L’accentuazione non è tanto su elementi liturgici, di preghiera, devozionali devozione e nemmeno a quella compunzione che alle volte scambiamo per santità. Questo ministero, cioè servizio, vi è dato perché sperimentiate la grazia dell’amore di Dio praticando la carità, soprattutto, verso i malati e coloro che sono impediti a partecipare alla Santa Messa.
In questo, San Giuseppe Maria Tomasi ci è di esempio. Egli fu amante e cultore della Sacra Liturgia, tanto da meritare il titolo di “Doctor Liturgicus” o “Principe dei Liturgisti Romani”, ma ciò che in lui attraeva, rappresentando una autentica testimonianza di vita cristiana, era la sua dedizione ai poveri, il suo dare sollievo ai malati. Servire i malati, per lui, significava servire Cristo stesso.
Tutti noi siamo stati educati a riservare grande rispetto a riverenza alle specie eucaristiche; la stessa riverenza dovremmo riservarla anche ai malati, ai poveri, ai bisognosi che sono la “carne sofferente” del Cristo. Nei vangeli Gesù è molto chiaro: in riferimento al pane eucaristico dice: «questo è il mio corpo», non dice “questo è come se fosse il mio corpo”; afferma, così, la sua presenza reale nel mistero di quel pane sacramentale. Nel vangelo di Matteo dice anche: «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40), anche qui non dice “è come se lo aveste fatto a me”, dice: «l’avete fatto a me». Afferma, quindi, che il corpo dei piccoli, dei bisognosi, dei malati è il suo stesso corpo. Nel discorso escatologico matteano, Gesù si identifica con coloro che hanno fame e sete, con i migranti, con chi è talmente povero da non avere vestiti, con i malati e i carcerati. Non sarebbe, quindi, fuori luogo un atto di riverenza davanti ad una persona malata tenendo conto che Gesù dice: «lo avete fatto a me».
Il cardinale Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, nell’omelia della terza domenica di Avvento del 2020, davanti a Papa Francesco, sottolineò che a Natale si celebra il “sacramento della povertà” e disse: “Andare verso i poveri è imitare l’umiltà di Dio” che si è fatto povero; si è fatto il povero, il malato, il bisognoso. Dunque, spiegava ancora il cardinale, “i poveri sono ‘di Cristo’ non perché si dichiarano appartenenti a lui, ma perché lui li ha dichiarati appartenenti a sé, li ha dichiarati suo corpo”.
Fratelli e sorelle, mi rivolgo in particolare a chi svolgerà il servizio del Ministro straordinario, voi servite il corpo di Cristo non perché “straordinariamente” prendete tra le mani la pisside e la teca contenenti la santa eucaristia, ma perché vi recate da un malato per portare il viatico: è lì che incontrate Cristo; è lì che siete segno della sua Carità infinita. Questo vale e deve valere per tutti noi!
Il catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1131, dice: I sacramenti sono segni efficaci della grazia, istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa, attraverso i quali ci viene elargita la vita divina. Possiamo quindi affermare che il pane eucaristico e i malati o, più in generale, i poveri, sono gli strumenti attraverso i quali ci viene elargita la vita divina.
Di fronte a questo grande mistero che è il sacramento della povertà, vorrei proporvi un insegnamento di Giovanni il Battista per noi prezioso, che vorrei teneste a mente e sul quale vi invito a ritornare col cuore.
Giovanni il Battista, che aveva esultato già nel seno di sua madre, riconoscendo la presenza di Dio nel grembo di Maria, ora testimonia di non aver riconosciuto Gesù tra la folla di peccatori accorsi nella valle del Giordano a farsi battezzare. Lo ammette candidamente quando, nel brano evangelico che è stato proclamato, ripete per due volte: «Io non lo conoscevo…». È stato lo Spirito santo a permettergli di riconoscere la presenza Dio dietro l’apparenza modesta di quell’uomo di Nazareth più simile ad un agnello mansueto: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui». È la presenza mite di Dio, che nasce in una stalla, deposto in una greppia; è la presenza mite di Dio come quella dell’agnello che viene condotto al macello. Nascosto fra i penitenti Gesù avanza per farsi battezzare pur essendo senza peccato. E Giovanni è turbato da questo gesto.
È lo stesso turbamento, la stessa fatica, la medesima sorpresa che sperimentiamo anche noi quando ci troviamo di fronte ad un fratello o una sorella malati, affamati, nudi, carcerati… Con il Battista esclamiamo: Dunque Dio è così? Così umile? Così “poco”?
Giovanni ha capito, riconosce ed esclama: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo».
Carissimi fratelli e sorelle, possiamo essere discepoli di lungo corso ed avere avuto molte esperienza forti di preghiera. Possiamo avere consacrato la nostra vita al vangelo come religiose, religiosi, preti o essere anche vescovi, possiamo essere ministri straordinari della comunione, ma possiamo ancora non avere conosciuto pienamente il Signore. Corriamo il rischio, come Giovanni il Battista di non riconoscerlo nel suo modo umile di stare con-noi nel fratello povero, bisognoso, malato.
Abbiamo sempre da scoprire, sempre da imparare, sempre da diventare discepoli seguendo l’Agnello che porta su di sé il dolore e il peccato del mondo.
Gesù chiede di nascere in me, è questo il significato del nostro celebrare il Natale: metterci in ascolto di Gesù che bussa alle porte della nostra vita. E l’anno che abbiamo davanti è l’opportunità che ci è data per scoprire ancora chi è Dio e chi sono io.
Chiediamo per intercessione di San Giuseppe Maria Tomasi la docilità all’azione dello Spirito santo per essere capaci di riconoscere Gesù e indicarlo presente al mondo. Amen
Riconoscere Gesù nell’umile
Mandato ai Ministri Straordinari della Comunione
03-01-2024