Mi pare significativa la coincidenza tra la festa liturgica della Santa Famiglia e l’ultimo giorno dell’anno in cui cantiamo il Te Deum, ogni cristiano ringrazia Dio per i benefici ricevuti nell’anno che si sta concludendo.
Che strano vedere uomini, donne, giovani e bambini che dicono “grazie di quest’anno trascorso”. In questi giorni nelle abituali interviste di fine anno, sentiamo ripetere dagli intervertitati: “speriamo che il prossimo anno sia migliore di quello trascorso” e, chi per una ragione chi per un’altra, è felice che questo anno disastroso sia terminato. Ma anche noi che diciamo “grazie”, ci auguriamo “buon anno”, intendendo con questa espressione: “ti auguro che sia un anno migliore di quello passato”.
Ma cosa ci auguriamo? in cosa o in chi stiamo riponendo questa speranza? Con il canto del Te Deum, la Chiesa risponde a questa domanda: il nuovo anno sarà migliore se saremo capaci di riconoscere le grazie che Dio ci dona dentro questo tempo.
Dopo averci fatto fissare lo sguardo sul mistero della nascita di Gesù, la liturgia, con la festa odierna, ci sollecita a porre l’attenzione al mistero della sua accoglienza. La nostra capacità di accogliere Gesù, il Verbo di Dio che si è fatto accessibile e raggiungibile con il suo Natale, fa la differenza per la nostra vita e qualifica significativamente il tempo che viviamo. Il nuovo anno sarà un anno migliore nella misura in cui sapremo accogliere la presenza di Gesù che la solennità del Natale ci ha ricordato.
La nascita di Gesù ci consente di riconoscere in profondità ciò che avviene ogni volta che una nuova vita nasce. Accade sempre l’incontro tra un dono che precede e un’accoglienza che risponde. La celebrazione della Santa famiglia ci invita a riscoprire come il dialogo tra dono e accoglienza sia a fondamento di ogni relazione d’amore autentico, anche quella con Dio.
L’Amore vive sempre una tensione tra una via e una casa.
- È una via, perché mette in movimento, costringe a fare esodo da sé stessi e dai propri orizzonti angusti e limitati, spinge all’incontro, si apre con speranza al futuro, non teme di sognare, conferisce slancio ed entusiasmo ai propri passi, gonfia i polmoni e dilata lo spazio del cuore.
- L’amore tuttavia ha bisogno anche di diventare casa, cioè stabilità, fedeltà, fecondità, ospitalità. Questo accade quando si mantiene vivo e incessante il dialogo tra un dono offerto con fiducia e una accoglienza prestata con disponibilità. Quando uno dei due poli sbiadisce, non si cammina più e la casa stessa, da luogo ospitale, si trasforma in prigione soffocante.
Ecco allora un insegnamento prezioso che vogliamo accogliere dalla Santa Famiglia: dobbiamo mantenere vivo il dialogo tra dono e accoglienza.
Esso matura, anzitutto, nella relazione tra l’uomo e la donna, ma poi è chiamato ad aprirsi verso i figli e verso il cielo stesso di Dio, come, in Genesi, accade per Abram il quale viene invitato dal Signore a coniugare la sua attesa di un figlio con uno sguardo che si alza a contemplare il cielo stellato. Abram è deluso perché la promessa della discendenza tarda a compiersi: «Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Queste parole sono da intendere in senso forte: mi avvio verso la morte non solamente a motivo di una vecchiaia che incombe, ma soprattutto perché è già morte sperimentare la sterilità della propria esistenza. Subito dopo Abram aggiunge: «Ecco, a me non hai dato discendenza»; come dire: la responsabilità è tua, che non hai mantenuto fede alla parola data.
Credo che ciascuno di noi, guardando al passato, potrebbe sentirsi rappresentato da Abram e con lui pregare in questo modo: Signore non hai mantenuto fede alla tua promessa e le cose, quest’anno, sono andate male…
Dio risponde ad Abram rinnovando la sua promessa e conducendolo fuori: gli fa fare un esodo da questa amarezza, invitandolo ad alzare lo sguardo verso un cielo stellato. Dunque è notte. Giovanni nel prologo del suo Vangelo ci ha ricordato che «la luce splende nelle tenebre»; proprio in questa notte della fede, in questa notte dell’infecondità e della delusione, Abram deve ritrovare il coraggio di alzare lo sguardo verso un oltre da contemplare senza poterlo dominare.
La conversione da fare, che diviene poi condizione per ogni altra trasformazione dalla nostra esistenza, consiste proprio nell’uscire da un atteggiamento ricurvo e ripiegato sulle nostre paure o lamentele. Il Dio dell’Alleanza è sempre Dio-dell’esodo, colui che ci conduce fuori. Ad Abram che chiede un erede, Dio promette molto di più: una discendenza numerosa come le stelle del cielo. Così Dio mostra quanto il suo progetto sia infinitamente più grande della stessa speranza di Abram. Inoltre, questo cielo stellato, che non può essere contato, gli ricorda che dovrà fidarsi del segno senza pretendere di dominarlo o di verificarlo. Infine, a colui che chiede: «che cosa mi darai?» (v.2), Dio ricorda: «io sono il tuo scudo» (v.1). Vale a dire, prima ancora di darti, io sarò con te. Questo è il fondamento di ogni promessa. Anche della promessa di un figlio. Questa la promessa che ci viene fatta all’inizio di un anno nuovo: «Io sarò con te».
Carissimi fratelli e sorelle, Dio, all’inizio di questo nuovo anno, rinnova la sua Alleanza tornando a donarci la sua presenza e il suo essere con noi e domandandoci di uscire fuori, di incamminarci.
Diciamo grazie per l’anno trascorso e chiediamo, per questo nuovo tempo che ci è donato, di poter vivere la fraternità per passare da quell’atteggiamento arreso di Abram che dice: «me ne vado verso la morte», all’atteggiamento speranzoso di Simeone che può dire con gioia: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza».
È questo l’augurio che faccio a voi e a tutta la Chiesa monrealese: che possiate riconoscere i segni della salvezza con cui Dio visita quotidianamente le nostre strade e le nostre case, imparando a vivere in questo continuo dialogo tra dono e accoglienza, per cantare con il vecchio Simeone: ora sono nella pace, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza presente, qui ed ora, per me e per il mondo intero.
Che quest’anno sia l’anno dell’esodo, dell’uscita dalla rassegnazione per entrare nella logica del dono voluta da Dio. Amen