Carissimi sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, consacrati e consacrate, carissimi fratelli e sorelle tutti, vorrei anzitutto dirvi la gioia e l’emozione che provo nel presiedere, per la prima volta, questa solenne Messa Crismale. In questi giorni, spesso, mi è tornata alla mente, ed ho sentito mia quell’espressione con la quale Gesù si rivolge ai suoi discepoli alla fine della sua missione terrena: «Ho tanto desiderato di mangiare con voi questa Pasqua» (Lc 22, 15). Inizialmente, non avevo pensato al contesto in cui sono state pronunciate queste parole. Riprendendo il testo di Luca, mi hanno sorpreso le parole successive che non avevo messo in conto: «prima della mia passione». Ma è giusto così. Carissimi fratelli nel sacerdozio, ogni Eucaristia che celebriamo, infatti, è sempre il momento supremo della nostra carità pastorale, con la quale imitiamo Cristo nella sua totale donazione di sé. Questa carità è l’espressione più alta del nostro amoris officium, del nostro servire l’amore.
La Messa Crismale, poi, è unica fra tutte, anche perché manifesta l’intima comunione dei presbiteri con il proprio vescovo. Ed è questa comunione sacerdotale quella che maggiormente deve starci a cuore, poiché si tratta della prima e più efficace forma di carità pastorale. Essa non è un semplice mezzo in vista di una maggiore efficienza del nostro ministero, ma il vincolo di perfezione che ricompone nell’unità la nostra vita e la nostra azione. La carità pastorale scaturisce dal sacrificio eucaristico ed esige che tutti i presbiteri, “se non vogliono correre invano, lavorino sempre nel vincolo della comunione con i vescovi e gli altri fratelli nel sacerdozio” (Presbyterorum ordinis, 14).
All’inizio del mio ministero episcopale dissi che intendevo il mio servizio come “ministero delle giunture”. Dopo questi primi nove mesi con voi e per voi, ne sono ancor più convinto. È questo, oggi, il compito principale del vescovo l’essere tessitore di comunione, strumento di fraternità e di accoglienza. Voi, carissimi sacerdoti, siete – e dovete esserlo sempre di più – i primi collaboratori del vescovo in questo servizio di comunione.
Tra poco, davanti al vescovo e al Popolo santo di Dio, rinnoverete le vostre promesse sacerdotali e vi domanderò anzitutto: “Volete unirvi intimamente al Signore Gesù…?”. Nel rispondere siate fortemente consapevoli che essere uniti a Gesù significa vivere la comunione presbiterale nel servizio dei fratelli. Chiediamo al Signore che nel rinnovare le promesse sacerdotali possiamo avere uno slancio ancor maggiore nell’essere, ciascuno personalmente e come presbiterio, costruttori di comunione, ministri di giuntura!
La Messa Crismale all’attenzione verso il sacerdozio ministeriale accosta quella al sacerdozio comune.
Carissimi fratelli e sorelle, sotto i nostri occhi, sta per essere collocato il segno del Crisma, dell’olio, cioè, misto a profumi che, insieme con l’olio degli infermi e quello dei catecumeni, è preparato in questo Giovedì Santo. Con questo olio tutti siete stati unti, santificati e consacrati il giorno del vostro battesimo. Tutti i battezzati, ricorda il Concilio, “per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo” (Lumen gentium, 10). Il Crisma, con la bellissima preghiera di consacrazione, ricorda a tutti noi la dignità del sacerdozio regale del popolo santo di Dio. Dignità che si esprime nella vita santa e nelle opere di giustizia di ogni cristiano.
In forza di questa dignità tutti noi, insieme, formiamo quel Popolo che il Concilio, con espressione nuova ed antica al tempo stesso, non esita a chiamare popolo messianico perché ha il Messia, Cristo Gesù, come suo capo. Questo Popolo ha per legge l’amore scambievole e come ultimo fine la manifestazione piena del Regno, quando il mondo verrà liberato dalla schiavitù della corruzione e sarà pienamente partecipe della libertà dei figli di Dio (cf. Rom 8, 21; Lumen gentium, 9).
Noi dovremmo, dunque, amare questo titolo di popolo messianico, perché esso ci rende membra del Corpo mistico di Cristo e, al contempo, ci ricorda che dobbiamo farci carico della speranza dei popoli, delle loro attese di libertà e di liberazione. «Mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione, per rimettere in libertà gli oppressi», proclama Gesù nella sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4, 18). Della Chiesa, poi, il Vaticano II dice: “Il popolo messianico, anche se di fatto non comprende ancora la totalità degli uomini e ha spesso l’apparenza di un piccolo gregge, è però per l’intera umanità germe sicurissimo di unità, di speranza e di salvezza” (Lumen gentium, 9).
Carissimi, in questa celebrazione invito tutti a onorare e incarnare questo titolo di popolo messianico. Noi siamo Chiesa! In forza dell’unzione crismale siamo membra del Corpo di Cristo. Siamo destinatari di un dono che ci ha conferito straordinaria dignità ma anche un compito: «annunziare ai poveri un lieto messaggio, proclamare ai prigionieri la liberazione, rimettere in libertà gli oppressi» con tutto ciò che questo significa.
Oggi, più che mai, in questo tempo in cui più evidenti e drammatiche si mostrano le sofferenze e le tragedie dei popoli, e in questo luogo, questa nostra terra siciliana, in cui la rassegnazione sembra per molti essere l’unica possibilità, noi, Chiesa di Monreale, popolo messianico, vogliamo riscoprire la vocazione ad essere popolo di speranza. Non possiamo essere latitanti proprio oggi, quando maggiormente la disperazione attanaglia il cuore dell’uomo e più abbondante sgorga il pianto dagli occhi dei nostri fratelli.
Allarghiamo le pareti del nostro cuore pregando per tutti coloro che rischiano di perdere la speranza: i popoli flagellati dalla guerra o colpiti da catastrofi naturali; i popoli che soffrono la fame e la sete e a cui mancano i beni primari; preghiamo per le persone a cui non sono riconosciuti né i diritti, né la dignità dell’essere umano; preghiamo anche per gli uomini e le donne di questa nostra terra che vivono nella rassegnazione e nella convinzione che “nulla mai cambierà”; per i nostri ragazzi e i nostri giovani costretti ad emigrare in cerca di futuro.
Insieme alla preghiera, insieme alle pareti del cuore allarghiamo anche le nostre braccia per porre gesti, scelte e azioni in favore dei poveri, dei prigionieri e degli oppressi, che il vangelo ci ha ricordato essere i primi destinatari del «lieto messaggio» portato da Gesù. Dobbiamo porre scelte concrete che sappiano dare un volto nuovo alla nostra Chiesa. Non è, questa, una sfida del vescovo o dei preti, ma è di ciascuno battezzato, di tutti noi, alla quale è possibile rispondere solo insieme, come popolo messianico.
Io non so cosa faremo. So che cosa dobbiamo e possiamo fare ora: compiere il passo della sinodalità! Che non è semplicemente fare le cose insieme, ma è essere uniti a Cristo per vivere la comunione tra di noi. Allora sarà vera per noi la profezia di Isaia: «Coloro che li vedranno riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore» (Is 61,9).
Sia questo il nostro impegno, sia questa la grazia che peroriamo dall’intercessione dei santi della nostra Chiesa.
Amen